L’histoire du soldat

Ensemble Zipangu • Menoventi

musiche di Igor Stravinskij
libretto di Charles Ferdinand Ramuz
direttore Fabio Sperandio
regia, traduzione e libero adattamento del testo Gianni Farina
regia video Davide Maldi e Micol Roubini
con Consuelo Battiston, Roberto Pagura, Michela Facca, Giacomo Pontremoli

Ensemble Zipangu
Roberto Noferini violino
Fabio Quaranta contrabbasso
Luca Milani clarinetto
Giulia Ginestrini fagotto
Alberto Brini cornetta
Andrea Maccagnan trombone
Mirco Natalizi percussioni

Direttore della fotografia Davide Maldi
Montaggio video Micol Roubini
montaggio del suono Andrea Lepri
microfonista e elettricista Andrea De Bortoli
luci Alberto Biasutti e Gianni Farina

produzione
Teatro Giuseppe Verdi di Pordenone
in collaborazione con Menoventi/E production e L’Altauro
Si ringrazia il Progetto Parco Sole Di Notte
debutto: Teatro Verdi, Pordenone, 02/11/2018

NOTE DI REGIA
Non è raro, a teatro, imbattersi nel Diavolo, e non è del tutto corretto precisare che l’incontro avviene con la rappresentazione di questo personaggio, poiché proprio la rappresentazione è il suo regno, il contesto che spontaneamente egli genera con la sua stessa esistenza. Il Diavolo è l’artefice della menzogna e dell’artificio; non c’è da stupirsi dunque se questa figura ha meravigliosamente ammorbato tutta la storia del teatro. Campione dei travestimenti, egli è ovunque, e probabilmente si nasconde anche in quel sospetto commilitone che suggerisce al soldato l’idea di salvare la principessa.
Ricchezza, agio e prestigio (è il caso di sottolineare l’identità linguistica tra reputazione, credito, e il trucco, l’illusione, l’incantesimo) sono le lusinghe che seducono lo sventurato protagonista di questa fiaba. Come Faust e altre vittime della fascinazione diabolica, anche il soldato giunge a un accordo con il re degli inganni. Quale contratto firma il povero soldato? Per cosa cede il suo violino e la sua anima? Il soldato a mio avvisa firma Il contratto sociale. Egli rinuncia alla sua autenticità in cambio dell’inserimento a pieno titolo nella società civile, che oggi come un secolo fa poggia sul riconoscimento economico dell’individuo. Non il contratto di Rousseau quindi, stipulato in epoca preindustriale, ma un contratto più equivoco e astuto, pieno di postille e note ai margini, un contratto che genera quella mutazione antropologica che Pasolini, tra i primi, mise in luce.
Gli attributi del soldato che più hanno catturato la mia attenzione sono l’ignoranza (non sa leggere) e la remissività (ben espressa dal suo mestiere, sempre pronto all’obbedienza). Giuseppe tenta in un primo momento di ricusare le proposte del Diavolo, ma sembra non essere in grado di ribattere alle seducenti lusinghe a causa di una limitata capacità dialettica; la limitatezza del suo capitale culturale, effetto della povertà di fatto, gli impedisce di elaborare delle strategie per sfuggire alla presa del suo antagonista. Cosa gli viene offerto in cambio della sua anima? Immense ricchezze, certo, che tuttavia sono magicamente generate dalle pagine di un libro. Il Diavolo appartiene a un’élite culturale che domina il mondo attraverso il potere economico e il potere intellettuale, due fattori che vanno a braccetto. Il soldato verrà esiliato dal suo villaggio montano per diventare un ricco mercante mondano. Tutti lo invidiano poiché il suo potere di acquisto è straordinario, ma questo non lo pacifica. Giuseppe si sente sempre più isolato e confuso poiché proviene da una realtà diversa, fatta di quelle “buone vecchie cose del passato” che lo legavano alla vita agreste cancellata dalla tempesta del consumismo.
Le meticolose didascalie di Ramuz e Stravinsky rivelano una solida chiave interpretativa dei caratteri. Ho perso il conto delle indicazioni che ribadiscono “il soldato china il capo”. Il capo chino è diventato per me il gesto primario del protagonista, come il travestirsi ed il nascondersi lo sono per l’antagonista (Sāṭān, in ebraico). Accettazione, mansuetudine, remissività, obbedienza: queste sono le fratture su cui poggia la strategia del Diavolo. Aggiungo che anche la ricca e colta principessa, nel finale, indurrà Giuseppe alla mossa fatale. Con grande candore a quanto pare, ma sarà proprio la sua insistenza a farlo cadere nella trappola del gran nemico.
Il Diavolo però non è solo il rappresentante di una classe sociale dominante, è anche l’assoluto padrone del caso e del tempo. I paradossi temporali, le ripetizioni, gli sfasamenti (chiaramente percepibili anche nella partitura musicale, che richiama spesso il disco inceppato) sono un altro leitmotiv di quest’opera. Il Diavolo sembra disporre del tempo altrui come i misteriosi “signori grigi” di Momo, un’altra fiaba che racconta il novecento. Disporre del tempo altrui significa manipolare e disporre pienamente della collettività. È così che si crea il consumatore esemplare; non basta organizzarne la vita lavorativa, occorre poter organizzare ogni suo istante, dalla scuola al tempo libero, alle vacanze, all’amore. Manipolare il caso invece implica il potere di agire a distanza, indirettamente, creando confusione nella vittima. Tutto, a partire dal primo incontro, sembra frutto di coincidenze. Il gioco della carte è un chiaro indizio: durante il solitario escono solo cuori. Il soldato lo interpreta come vaticinio favorevole e non si rende conto che il caso è manipolato da un invisibile dispositivo che regola ogni dettaglio della sua vita.

Tutti i princìpi fin qui descritti emergono dall’eccellente lavoro del duo Maldi/Roubini, che hanno diretto i contributi video che costituiscono il nucleo principale di questa messa in scena. Insieme abbiamo accolto l’invito di Stravinsky a “localizzare il lavoro”, girando tutte le scene nel pordenonese. La fotografia e il registro formale si armonizzano con le location individuate per restituire lo smarrimento del protagonista di fronte ai diabolici intrighi. Come ci ricorda il prof. Calabretto nel suo volume, Pasolini descrive abilmente l’impatto di questi luoghi,: “il mondo del paese friulano appare intorno velato da una tristezza profonda, con le sue grigie case di sassi aggruppate sopra un desolato monticello, o tra i vuoti magredi, o tra i verdi gelseti delle risorgive”. Maldi e Roubini hanno inoltre intuito il giusto principio che ha guidato la ricerca degli interpreti: come nel cinema di Pasolini gli attori devono presentarci volti che raccontano una storia fin dal primo fotogramma; volti che parlano, persone in grado di “saper portare la propria faccia” (ancora Calabretto, che cita questa volta Guarnieri). Pontremoli è un soldato in grado di stupirsi genuinamente, Pagura è un Diavolo empatico, in grado di comprendere le afflizioni umane per infierire più efficacemente.

Concludo con alcune note metodologiche.
Ho scelto di tradurre il testo originale per procurarmi un’occasione di approfondimento. Traducendo ho avvertito alcune sottigliezze che la semplice lettura (anche reiterata) non poteva mettere in luce. Una sorta di compilazione statistica si è generata spontaneamente ed è emerso che alcune ripetizioni sono più ridondanti di altre. “Adesso dove vado?”, “Adesso cosa faccio?” sono le parole che il soldato pronuncia più spesso attraverso la bocca della narratrice, che consapevole di questo può dunque marcare con forza l’unica presa di posizione vigorosa: “Vado dalla figlia del re!”.
Ho scelto di mantenere la rima per tutti i personaggi tranne il soldato. Così facendo intendo rimarcare le divergenze di natura sociale e culturale tra i personaggi, sottolineandole ancor più con l’unica eccezione che mi sono concesso: una volta diventato mercante, snaturato e civilizzato, il protagonista si lamenta in versi, come gli abitanti del mondo che lo circonda.
Particolarmente delicati sono stati i passaggi misurati sulla musica, così come i continui rimandi tra filmati e orchestra; per la soluzione di questi numerosi rompicapo devo ringraziare il Direttore Fabio Sperandio, che ha seguito con grande competenza, versatilità e pazienza tutto il percorso della messa in scena.

Gianni Farina

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