la scommesssa di Kilowatt

Michele Pascarella | 

Hystrio | 

10/10/2020

Alla fine (violenta) del celebre cantore della Rivoluzione d’Ottobre Vladímir Majakóvskij, Menoventi dedica un composito progetto scenico, che di quella vita – e di quella morte – restituisce linguisticamente l’intricata ricchezza.
Come consuetudine del duo Battiston-Farina, obiettivo della proposizione scenica non è tanto quello puramente storico-documentaristico quanto l’ingaggiare – mediante un dispositivo scenico che costantemente oscilla tra naturalismo e stilizzazione – una sottile partita a scacchi con l’intelligenza e la percezione dello spettatore. Punto di partenza: l’esposizione di un fatto. In questo caso il suicidio di Majakóvskij, indagato con attitudine poliziesca. In questo incidente paiono affatto efficaci alcuni espedienti messi in atto per raffreddare una materia tanto tragica: dalla figura marziana, narrante e interrogante (Battiston) disumanizzata da numerosi segni fosforescenti alle risate in stereofonia che punteggiano e dileggiano l’accorato discorso di Majakóvskij, da sezioni di testo con smaccate rime baciate a un’esatta partitura di contrappunti sonori sintetici, a rendere sincopato e innaturale lo svolgersi del dramma. In questo allestimento tornano temi e stilemi di precedenti creazioni dell’ensemble, tra cui l’esatta tessitura di repentini quanto spiazzanti scarti temporali e le millimetriche ripetizioni di frammenti testuali e brevi scene, ponendo in evidenza la finzione teatrale. La figura di Consuelo Battiston, ancora una volta in relazione di gelida estraneità-superiorità rispetto ai personaggi in scena, affianca ai caratteri spigolosi già espressi in altri allestimenti nuove sfumature e inedite composizioni plastiche e cinetiche, che a tratti evocano certe figurazioni del celebre Balletto Triadico di Oskar Schlemmer.