LA RIBELLIONI DEGLI SPETTATORI

Incontro per Teatri Di Vetro

Lorenzo Donati, Gianni Farina | 

OSCILLAZIONI #3 | 

04/03/2025

Il teatro di Menoventi è fatto di scatole con dentro altre scatole, dentro ci sono attori e attrici che fingono di fingere diretti da registi nei panni di se stessi. Qualcuno ha descritto la regia come a un argine dentro il quale far muovere la percezione del pubblico ma il teatro di Menoventi, a ben vendere, nasconde anche sempre un invito a romperlo, facendo esondare le acque. Menoventi ci invita a ribellarci, ma cosa accadrebbe se durante lo spettacolo riuscissimo a prendere il potere? Finirebbe il teatro? Rileggeremo alcuni lavori della compagnia saggiando questa ipotesi, dal semaforo orwelliano di In festa (2005) agli spettatori obbedienti di InvisibilMente (2008), ripensando al patto siglato col Diavolo di Postilla (2009), alla lezione di empowerment di Docile (2018) e sedendo infine al nostro posto di spettatori che guardano gli spettatori in Entertainment (2022).

LORENZO DONATI
Il teatro di Menoventi è costellato di trabocchetti, raggiri, promesse fatte non del tutto mantenute, di una serie di artifici che qui abbiamo la possibilità di raccontare e svelare per entrare dentro alla loro poetica. Allo stesso tempo questo dialogo è una disputa perché, se c’è qualcuno che ordisce i tranelli, qualcun altro, noi, potrebbe evitare di caderci e forse sventarli. Cosa succederebbe se ai patti che ci propone il regista noi spettatori non volessimo sottostare? È un po’ un’aporia perché, nella pratica, se lo facessimo davvero, forse non esisterebbe più quello che definiamo teatro. Il regista è colui che progetta gli argini dentro i quali noi, gli spettatori, ci dobbiamo muovere. Ma che accade se noi spettatori li rompiamo? Partiamo da ciò che dovrebbe fare lo spettatore nel teatro di Menoventi:

ESEGUIRE AZIONI

Come in molti spettacoli di teatro partecipativo degli ultimi decenni, anche gli spettatori di Menoventi eseguono azioni. A chi guarda viene insomma chiesto di non limitarsi a guardare. Partirei da InvisibilMente dove, a un certo punto, viene chiesto di lanciare oggetti sul palco.

GIANNI FARINA
In InvisibilMente c’è uno schermo su cui compaiono soprattitoli. Questa entità Suprema governa tutti: gli attori e poi, si scoprirà verso la fine, anche spettatori. All’inizio queste scritte riportano ciò che i due protagonisti si dicono sussurrando per non essere uditi, poi inizia a restituire i loro pensieri, le loro linee guida, le loro strategie per sfuggire da questa situazione di controllo. Ad un certo punto lo schermo inizia a descrivere ciò che il pubblico sta facendo, mentre lo sta facendo. Dico il pubblico, non lo spettatore, la comunità di persone, non il singolo, perché con il singolo individuo sarebbe impossibile mentre la platea è prevedibilissima. Ad esempio, mentre il pubblico sta ridendo compare la didascalia: il pubblico ride. La slide è stata scritta anni prima ma si sapeva già che il pubblico in quel punto avrebbe riso. L’80% degli spettatori in quel momento sta ridendo e lo sapevamo già. Non è magia, la platea, la massa, è prevedibile. In quel momento il pubblico capisce di essere osservato e inizia a diffidare. Alla fine lo schermo si evolve ulteriormente: non prevede più ciò che il pubblico sta facendo in diretta, ma suggerisce al pubblico di fare delle cose e la platea nel suo insieme le fa, nonostante la diffidenza che si è creata. Non so perché, ma è così, funziona sempre. E quando viene chiesto di lanciare delle arachidi agli attori, il pubblico esegue immancabilmente. In Postilla invece c’è il tentativo di dirigere la volontà di un singolo spettatore. E quello non funziona sempre, non sempre si comporta come abbiamo programmato. Il singolo è ancora imprevedibile (per fortuna).

LORENZO DONATI
Postilla è uno spettacolo che ha rappresentato un unicum nel panorama teatrale italiano. Assomigliava a un lavoro di teatro sensoriale, dove solitamente gli attori manipolano gli spettatori facendo loro attraversare lo spazio preparato, procedendo uno alla volta. Agli spettatori vengono fatti esperire odori, suoni, sensazioni tattili eccetera. Eppure Postilla aveva in comune con il teatro sensoriale solo la fruizione individuale e solitaria. A Terni, dove l’ho “visto”, si giungeva in un grande foyer di un teatro all’italiana, con i suoi velluti e gli scaloni, qui si veniva lasciati da soli per un minuto. A un certo punto dalla scala scendeva lui, Gianni (il regista) che faceva sedere noi, io (lo spettatore) in un tavolino. Gianni diceva, senza mezzi termini: – se vuoi vedere lo spettacolo di Menoventi devi vendermi la tua anima firmando un documento con nome, cognome, data e la clausola “per vedere lo spettacolo di Menoventi cedo la mia anima al diavolo”. Gianni, Diavolo e regista riuscivano a fare firmare gli spettatori?

GIANNI FARINA
Non tutti. Quasi tutti, perché io insistevo molto. Prima mi davo un tono luciferino e questo li induceva a non fidarsi. Però a un certo punto mollavo, e dicevo: dai ricominciamo, io sono Gianni, questo spettacolo è un gioco, no? Cioè, ti sembra che questo documento possa avere un’efficacia reale? Lo spettacolo è questa contrattazione e se non firmi non entri. La gente di solito si rilassava e firmava. E lì c’è un gioco molto bello ideato da Alessandro Miele. Per firmare tu sei obbligato a guardare dove scrivi e mentre lo spettatore firmava io avevo il tempo di tornare luciferino. E lo fissavo negli occhi senza dire niente per alcuni minuti. E lì cominciavano già a pentirsi.

DONATI
Il tentativo è la manipolazione. Lo potremmo forse chiamare orientamento della percezione individuale

FARINA
Che a volte non riesce, non tutti hanno firmato. In InvisibilMente la platea, considerata come corpo unico, lancia sempre le noccioline. Qui invece c’è un 10% di persone che hanno detto grazie e arrivederci. Poi, una volta avvenuta la firma, inizia un viaggio agli Inferi. L’abbiamo fatto in teatro ma anche al cimitero monumentale di Torino, in una chiesa, in luoghi insomma non troppo pacifici. E durante questo viaggio eravamo tre attori su uno spettatore e c’erano vari momenti in cui si manipolavano le sue scelte. Alla fine ritornavano da me per ricontrattare, cioè per riavere quel patto firmato, per strapparlo, bruciarlo. Sia durante il viaggio che nella contrattazione finale ci sfuggivano. A volte si rifiutavano di fare il percorso indicato, oppure nella contrattazione finale erano così sorprendenti che io mollavo e uscivo dal gioco. Gli veniva chiesto qualcosa in cambio della restituzione del contratto. Cosa? Toccava a loro decidere, loro sanno quanto vale quel foglio. Gli uomini avevano il portafoglio in tasca e qualcuno lasciava dei soldi. Le donne entravano spesso senza la borsetta, quindi disarmate, e qualcuna ha lasciato le scarpe. Uscivano scalze. Una mi ha dato il primo dente caduto del figlio staccato dalla collanina… tutto mi sorprendeva, c’era una specie di suggestione reciproca. In realtà nel percorso non c’era nulla di orrorifico, non c’era sangue, violenza, nulla di tutto ciò, niente di che, non succedeva niente, fondamentalmente non succedeva niente.

DONATI
Succedeva, in realtà, che noi ci vedevamo rappresentati osservando in una scena spiata da lontano, dove si raccontava di noi…

FARINA
Era il finale prima dell’eventuale epilogo della contrattazione – eventuale perché non tutti l’hanno fatta. Alessandro, il Caronte di questo viaggio, iniziava a commentare una pantomima in cui c’eravamo io e Consuelo che riproducevamo ciò che era successo tra me e lo spettatore all’inizio. Le sue esitazioni, il rifiuto iniziale, la mia insistenza e infine la firma. Rimanevano male. Era una pantomima, la farsa di ciò che era successo all’inizio e ci rimanevano male.

DONATI
C’è un altro vostro spettacolo che chiama in causa il rapporto tra individuo e collettività. Docile ci “impone” di prendere parte come spettatori a una conferenza di empowerment, c’è un personaggio che si rivolge a noi come fossimo arrivati in quel teatro per ascoltare la sua lezione. In pratica, nello spettacolo “sostituite” la nostra identità con qualcosa di molto simile, ma non coincidente. Postilla ti porta a dubitare in modo conclamato e perturbante della rappresentazione, dunque di fatto di “te stesso” (o almeno di quel “te” che sta guardando in quel momento). Docile getta un’ombra forse più sottile, ma non meno sinistra, sulla nostra posizione. Dunque lo spettatore può:

DUBITARE DELLA RAPPRESENTAZIONE (cioè della realtà)

FARINA
Ogni spettatore aveva un foglio. Lo psicologo chiedeva di scrivere al centro un obiettivo che si vuole raggiungere e che può riguardare qualsiasi ambito dell’esistenza: dalla salute all’aspetto fisico, al denaro, al lavoro. Poi in un secondo momento chiedeva di scrivere nei quattro angoli del foglio quattro strategie per raggiungere quell’obiettivo. Faceva anche qualche esempio e la platea puntualmente eseguiva il compito.

DONATI
Io presi molto sul serio questa proposta. Ho ancora, netta e forte, la sensazione di avere custodito quel compito. Perché in fondo: chi te lo dice che quella proposta non potesse servire davvero per lo scopo proposto? Volendo andare anche nel concreto: quanta somiglianza c’è fra “life coach” e un attore? E fra un uditorio di una conferenza e una platea teatrale? Ovviamente lo spettacolo giocava su questi slittamenti e a un certo punto, dalla platea, saliva una persona, una donna decisa a cambiare la sua vita. La donna racconta di avere perso il lavoro e ha scelto di partecipare a un percorso, affidandosi a un coach (l’attore). La trama di finzione che si sviluppa, anche grazie alla memoria di questi slittamenti, rendeva quel foglietto sempre più importante, come sospeso in un limbo, fra la vita reale e la rappresentazione…

Ma torniamo alle nostre domande. Che cos’altro può fare lo spettatore? Questo punto che sta particolarmente a cuore. Lo spettatore può:

DERIDERE I PERSONAGGI

Non so se Gianni sia d’accordo o meno, però sostengo che in alcuni degli spettacoli di Menoventi il regista inviti gli spettatori a deridere i personaggi mentre questi vengono manipolati. Il regista, con la complicità degli spettatori, diventa un marionettista che manovra dei malcapitati. In festa è uno spettacolo dove viene organizzata appunto una festa da una coppia, al posto degli invitati arrivano dei pezzi di manichini. Sul fondo sta appeso un semaforo che di fatto orienta gli accadimenti: quando si accende il rosso certe cose non possono essere fatte, e viceversa. La coppia si illude di avere degli amici, vorrebbero festeggiare ma non ci riescono, rimangono soli. Dopo il finale disperato, quasi apocalittico, ci si domanda: ma noi da che parte stiamo? Per chi parteggiamo? Perdere la faccia è uno spettacolo abbastanza clamoroso nel suo fondarsi su una bugia. Il lavoro è presentato come un cortometraggio cofirmato da Menoventi e Daniele Ciprì, arriviamo a teatro e un’attrice e un attore entrano in scena per presentare il film, sono i fondatori con Gianni della compagnia Menoventi, Consuelo Battiston e Alessandro Miele (quest’ultimo poi uscito dal gruppo e ora attivo con la sua compagnia Ultimi Fuochi Teatro). Sono contenti di mostrare il film, dicono, in diretta udiamo una telefonata con Daniele Ciprì, interpellato per portare un saluto. Si spengono le luci. Dopo poco si rialzano e questa sequenza appena vista ricomincia per diverse volte consecutivamente, ma con una serie di variazioni: nelle ripetizioni, se uno degli attori esegue un gesto diverso, o ruota l’asse del corpo, si genera un “errore di sistema” che viene replicato, il loop di gesti non è dunque mai uguale a se stesso. Entra anche un terzo personaggio che parla con noi, ci offre popcorn e bibite, deride i due intrappolati nel loop. Noi da che parte stiamo? Fino a che punto ci mettiamo nei panni dei due poveri intrappolati in una rappresentazione che non può finire, e che non ha niente di divertente, dalla loro prospettiva? È una domanda che possiamo porre anche a Entertainment. C’è un momento nel quale sembra che qualcosa si possa rompere, verso una possibile presa di consapevolezza, forse un’ipotesi di rottura di del meccanismo, cioè della “gabbia”.

Chi sono questi due personaggi, e tutti gli altri? E tu che rapporto hai con loro?

FARINA
In Perdere la faccia l’alternativa tra prendere le parti dei due che ci presentano un cortometraggio che non esiste, e che quindi sono due truffatori, o deriderli, piega sempre verso la derisione. Ci si vuole in qualche modo vendicare di questa truffa. Ma per Perdere la faccia quello che mi sta a cuore è ciò che c’è prima dello spettacolo. Soprattutto prima del debutto, e poi per 2 o 3 anni, abbiamo chiesto a tutti quelli che lo vedevano di mantenere il segreto. Alla conferenza stampa di Santarcangelo ci ritrovammo a mentire spudoratamente raccontando un cortometraggio che non esiste. E i giornali hanno parlato di questo cortometraggio che non esiste, a me sta molto a cuore questa dinamica. Il tentativo era non solo di spiazzare, ma di creare un livello della rappresentazione diverso, più vicino allo spettatore, incarnato dalla terza attrice. C’era una domanda molto ingenua che ci siamo fatti: si dice sempre che il teatro è finzione. Può il teatro diventare inganno? Passare dalla finzione all’inganno, quindi dare informazioni false invece di fingersi qualcun altro?

DONATI
Cos’altro può fare lo spettatore negli spettacoli di Menoventi?

GUARDARE UNA PLATEA

In Entertainment questa cosa te la sei inventata tu, nel testo non esiste.

FARINA
Sì, mi sembra incredibile. Nel testo di Vyrypaev c’è una didascalia che dice: L’azione è ambientata in platea. Quando abbiamo incontrato l’autore io davo per scontato che il lavoro fosse così, come l’avete visto ieri, c’è scritto nel testo! Per lui invece era scontato che la platea dovesse essere ricostruita sul palco. A me sembra assurdo. C’è la platea, è così bello per lo spettatore stare per una volta dall’altra parte. Poi ci ha raccontato aneddoti che ci hanno aiutato molto. Per lui è sempre stato uno spettacolo molto italiano, tanto è vero che Vyrypaev ha dei riferimenti molto precisi per i due personaggi in scena: nella sua testa sono Monica Vitti e Marcello Mastroianni.

DONATI e FARINA
Dunque, per finire. Cari lettori, secondo voi cosa può fare lo spettatore che non sia previsto dal regista?