MENOVENTI TEMPERATURA DELL’ASSURDO

Serena Terranova | 

Nelle pieghe della mano | 

03/05/2007

Foglio stropicciabile quotidiano a cura di Altre Velocità redazione intermittente sulle arti sceniche Non ho mica vent’anni!

«Il termometro del salotto di casa segna venti gradi. Ma se capovolgi la testa, potrebbero essere venti sotto zero.» Guardare allo specchio, rovesciare la realtà, rigirare i dati del normale vivere e sentire. La compagnia Menoventi, nata all’interno dell’esperienza del teatro delle Albe, con la creazione di Salmagundi nel 2004, ci presenta In festa, uno spettacolo che ha alle sue spalle una lunga gestazione: «In questi due anni lo spettacolo ha continuato a cambiare, trasformandosi soprattutto nel finale. I motivi di questa “lentezza” sono dovuti in parte alla metodologia di lavoro che abbiamo scelto di praticare, attraverso una scrittura che si definisce in corso d’opera, accogliendo le improvvisazioni che nascono durante le prove, e dovendo fare i conti con le nostre possibilità concrete. Veniamo da tre città diverse, all’inizio non avevamo uno spazio nel quale provare e ci vedevamo molto raramente, ogni due mesi… e se da una parte abbiamo saputo sfruttare queste lunghe pause come momenti di sedimentazione dei nostri risultati, d’altro canto sappiamo che il non poter fare altrimenti ha condizionato il lavoro nel suo insieme.»

Menoventi (Gianni Farina, Consuelo Battiston e Alessandro Miele) si rivolge al teatro dell’assurdo di Ionesco, a una visione decentrata della realtà che giunga, sulla scena, in forma nuova e “altra”; ma guarda alla fantasia razionale di Enzensberger e al grande immaginario di evasione degli anni cinquanta, a partire dalle profetiche visioni di Orwell e di Bradbury, dove ancora una volta si torna a ragionare in termini di temperatura e di calore. In festa è uno spettacolo dove si realizza «un teatro che amiamo definire surreal-popolare, che mantiene la componente illogica del teatro dell’assurdo e la ricerca di un linguaggio non comune, ma dove abbiamo scelto di abbandonare la tragicità del non poter comprendere, puntando proprio a una dimensione popolare, allargata della comprensione di un sentimento. Senza elitarismi.» Ma c’è un altro punto su cui i Menoventi insistono, ed è riferito a quelle “mancanze” del sistema che sulla scena vengono abilmente strasfigurate: «Le due figure dello spettacolo avvertono subito questa sensazione di mancanza, e cercano di supplirvi con l’esatto contrario: l’abbondanza, e quindi con una festa. Nello spettacolo abbiamo evitato di far emergere una morale, di trovare una risposta a quale sia il modo giusto per riempire questa mancanza che i personaggi vivono e che anche noi conosciamo e che anche il pubblico, probabilmente, avverte in forma di disagio».

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