In festa – DelTeatro
Renato Palazzi |
DelTeatro.it |
13/04/2006
Sono andato ad assistere al lavoro di un regista davvero ai primi passi, il romagnolo Gianni Farina, il cui gruppo ha un insolito nome «climatico», Menoventi. Il suo spettacolo, In festa, scritto coi due attori, Consuelo Battiston e Alessandro Miele – nato in realtà in buona parte dalle loro improvvisazioni – ha tutti i difetti e tutti i pregi delle «opere prime»: l’approssimazione stilistica, la tendenza ad accumulare modelli espressivi diversi, prendendo un po’ di qua e un po’ di là, ma anche l’enorme carica di freschezza, la voracità di chi si sta appena affacciando al teatro e sente il vitalissimo bisogno di mettere insieme tanti punti di riferimento.
La sua caratteristica più singolare è il richiamo, consapevole o meno, a un patrimonio all’apparenza niente affatto generazionale come il mondo del teatro dell’assurdo, e specialmente di Ionesco. Non è solo per il fatto che la trama del testo – l’attesa di una festa i cui partecipanti non arriveranno, o arriveranno solo sotto forma di scatole con improbabili doni, o di parti anatomiche staccate, una mascella, un torso, un sedere – ricalca vagamente quella de Le sedie: piuttosto ioneschiani sembrano anche l’invadenza degli oggetti e certi toni surreali del dialogo, «hai invitato gli invitati?», «ho inviato gli inviti», «prepariamo i preparativi».
Questo gusto del pastiche linguistico si mescola poi con l’incombere di un’invisibile autorità superiore – rappresentata da un semaforo che a seconda del colore autorizza o blocca le azioni dei personaggi – di matrice chiaramente beckettiana, mentre il dilagare per la scena di biscotti, cocci di piatti rotti, pozze d’acqua riversate da un lavandino fuori controllo fa pensare a situazioni tipiche di Rodrigo García: e tuttavia, dietro questo disordinato sovraccarico di rimandi e citazioni, si colgono notevoli intuizioni come quella degli ospiti incompleti, e palpita un inesprimibile disagio che spinge nell’angoscia il vuoto dei rituali quotidiani.