Persi nelle scatole cinesi
Massimo Marino |
Corriere di Bologna |
05/11/2011
Non fa molti passi in avanti la narrazione di L’uomo della sabbia dei giovani Menoventi, da E. T. A. Hoffmann. Si avvita in un affascinate gioco a scatole cinesi. La storia non decolla, né vuole decollare. Gli attori, e gli spettatori con loro, sono senza pietà chiusi in un labirinto, col sorriso sulle labbra. Il fantastico hoffmanniano si tinge di una quotidianità banale e, alla fine, oppressiva. Ci portano, con abilità, con sottile garbo e intelligenza, in una prigione dorata fatta di specchi che sembrano riflettere i nostri desideri e ci catturano senza salvezza, per rimandarci solo, sempre, a noi stessi, alle nostre ossessioni sempre più ansiogene.
Ecco, qui come in Manfredini, non c’è realtà. Piuttosto sogno, si direbbe (in modo diverso). Eppure l’impressione è di essere tanto vicini alle nostre vite, trasfigurate, penetrate meglio di quanto non sappia fare un teatro politico, diretto. Il giocattolo è esaltato, smontato: e rimane, alla fine, desolatamente rotto. Sempre con un certo sorriso sulle labbra, tra sipari che continuamente si aprono e si chiudono portando ogni volta nello stesso altrove, simile al qui e ora, a ripetere coattivamente le medesime azioni. Una trappola infernale. Un grido di paura infantile nella notte, mascherato dalla buona educazione.