Nei labirinti della mente umana, si nasconde l’uomo della sabbia
Roberto Rinaldi |
Rumor(s)cena |
24/10/2011
L’uomo della sabbia è un racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, esponente di spicco del Romanticismo tedesco, e fa parte della raccolta Notturni. È un racconto molto complesso che affronta il tema dell’ambiguità e indaga l’immaginario dell’automa. Una storia che suscita nel lettore il sentimento del sinistro. Freud lo prende ad esempio nel saggio Il perturbante. Molti sono gli artisti che si ispireranno alle sue opere. Fu anche un eccellente disegnatore e pittore. La sua indipendenza e il suo gusto della satira gli causarono rimproveri e censure da parte dei suoi superiori, ritratti nelle sue caricature.
La compagnia dei Menoventi con la regia di Gianni Farina ne ha fatto una trasposizione per il teatro, “un capriccio alla maniera di Hoffman… un labirinto, un gioco di scatole cinesi, una narrazione senza fine in cui perdersi”, e il letterato germanico faceva al caso loro, capace com’è di creare sofisticati labirinti in cui finisci dentro e da cui esci ed entri. Appena arrivi a cogliere l’essenzialità della storia descritta, della trama narrata, come in un gioco di prestigio, ti ritrovi al principio da dove eri partito. E il ribaltamento narrativo (in questo caso drammaturgico) ti costringe a ricominciare da una prospettiva diversa. Come un gioco di specchi in cui tu ti rifrangi. Il meccanismo teatrale dell’ultimo sforzo creativo dei Menoventi che affronta un lavoro drammaturgico impegnativo, mutuandolo da un racconto letterario, che ruota tutto intorno al meccanismo della ripetizione dove le varie scene sembrano succedersi in modo eguale ripetitivo, salvo poi accorgersi della presenza di varianti che spiazzano lo spettatore, creano spaesamento, stupiscono per l’irrazionalità in cui si manifestano.
Da un’azione logica e conseguenziale si passa a qualcosa che è perturbante, paradossale, per creare un sentimento simile alla paura che si viene a creare quando un fatto, una persona, un avvenimento, si percepisce come conosciuto e allo stesso tempo estraneo. Freud lo spiegava il perturbante come “quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”. È quello che si viene a creare attraverso un via vai di personaggi che appaiono e scompaiono, entrano da una porta e ci escono subito dopo.
Il sipario che si chiude e si riapre a ritmo continuo e non ti da il tempo di assimilare la scena precedente che già è cambiata, assomiglia tanto ai nostri pensieri che ci turbano quando scorrono via veloci, senza tregua, nuvole passeggere da toni oscuri e foschi. Nell’uomo della sabbia i corpi che spariscono e riappaiono in posture diverse. Sono flashback di pochi istanti, fotogrammi di un montaggio che non segue nessuna apparente coerenza. Assomigliano molto a suggestioni oniriche dove il perturbante è di casa. Un rovesciamento continuo delle situazioni che si vengono a creare e si dissolvono come per incanto. Automatismi come nel caso dello spaesato ragazzo con una banana in mano, perennemente fuori luogo, trovandosi nel posto sbagliato al momento sbagliato: una delle scene più spassose e godibili dell’Uomo della sabbia.
Avvengono ribaltamenti continui come l’origine del nome di questa giovane compagnia, proiettata sempre più verso una raggiunta maturità artistica. Il nome Menoventi si rifà alla temperatura del proprio termostato di casa, se lo capovolgi da più diventa meno. Nel l’uomo della sabbia i più e i meno si alternano di frequente. I piani di lettura si confondono traendo in inganno quando meno te lo aspetti. Scene viste e riviste alla moviola. A farlo sono Consuelo Battiston e Alessandro Miele (ideatori della messa in scena insieme al regista), Francesco Ferri, Tamara Calducci, Mauro Milone, Tolja Djockovitch. L’ingranaggio scenico è minuzioso, nulla viene lasciato al caso, tempistica e recitazione seguono il ritmo dato da un metronomo e da un cronometro tarati all’unisono. Le musiche originali di Stefano De Ponti diventano il tessuto musicale dove si appoggia tutta la narrazione teatrale. Gli attori si dividono in parti uguali l’impegno di ricreare sulla scena le atmosfere e le suggestioni così ben descritte da Hoffmann, la frammentazione di una storia raccontata prima al presente per poi passare al presente, e quando lo ha compreso, è già tardi, l’uomo della sabbia è già uscito dalla porta. Quella di un inconscio che ci appartiene.