Il gioco della rappresentazione

Giovanni Scanu | 

Pensieri di cartapesta | 

07/03/2013

Il tema che ha fatto da colonna centrale della discussione è stato quello del gioco della rappresentazione, cui è stato possibile discutere approfonditamente grazie alla partecipazione di Gianni Farina, regista teatrale presso la compagnia Menoventi, e dell’artista-filosofo Davide Valenti. A questi si è aggiunto il propositivo supporto di Roberto Cianciarelli, professore associato di Discipline dello spettacolo presso la Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università di Roma La Sapienza e Roberta Nicolai, regista e direttore artistico di Teatri di Vetro nel ruolo di moderatore.

A seguito di una esauriente, appassionata introduzione della Dottoressa Nicolai si è lasciato subito spazio all’affascinante mondo del teatro di Gianni Farina. La compagnia Menoventi concentra il proprio lavoro sul senso del termine rappresentazione, un concetto che, specifica Farina, si cerca di render tanto visibile da fare in modo che, quasi paradossalmente, possa scomparire il più possibile. Tenendo conto di tale concetto la compagnia ha operato un’accurata lettura dell’opera di Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann, celebre autore dell’Ottocento noto per il suo modo di riflettere e di agire sul linguaggio, tale da sortire un effetto simile – seppur differente – a quello dello “straniamento” brechtiano. Grazie al contributo di questi presupposti, la compagnia ha cercato di tradurre Hoffmann sul palco. Analizzando gli studi sul pensiero e sulla mente umana di Douglas Hofstadter è stato poi possibile per la compagnia strutturare la drammaturgia de L’uomo della sabbia.

Servendosi degli strumenti tradizionali del teatro si possono individuare tre livelli della rappresentazione, che mescolati insieme consentono il gioco con le cornici e permettono di giungere infine al “metateatro”. Su questo punto la metateatralità della compagnia non corrisponde al punto di partenza, piuttosto ad una conseguenza imprescindibile, poiché lavorando con le cornici, ovvero con i contesti, non è possibile ignorare la cornice di base, quella per cui lo spettatore si trova a teatro e trova con sé tutta una serie di condizioni (sala, spettatori…) che non può trascurare. La divisione in tre livelli della rappresentazione è la materia portante del vocabolario specifico della compagnia; il muoversi rispettivamente tra di essi provoca la rottura delle cornici, suscitando un effetto di spaesamento molto simile a quello che ritroviamo nelle produzioni di David Lynch e dello stesso Hoffmann.

In seguito agli interventi da parte del pubblico è stata data la parola a Davide Valenti. L’artista tenta di far emergere la valenza pratica dell’arte, parlando propriamente di arte come conoscenza attraverso la pratica. Riflettendo sul pensiero di Spinoza, Valenti spiega come l’intuizione, molto vicina all’arte, non sia vicina a sua volta alla razionalità, alla logica. L’importanza della ricerca di un legame con Dio e con la collettività si esprime per Davide nel concetto di “tuttunizzazione”: la ricerca dell’artista qui è quella dell’inconcepibile, ciò che è fuori da se stessi e dalla rappresentazione, quel luogo dove si pone “l’altro” e che dispone di un mondo di cose estranee alla propria percezione soggettiva. Arte e vita si uniscono dunque inestricabilmente. In conclusione, Valenti concede al pubblico una spiegazione pratica su come fare un sogno lucido, cioè vivere coscientemente il sogno. Sono state inoltre ascoltate alla fine del seminario alcune tracce audio trasmesse in varie stazioni radiofoniche e mostrati una serie di manifesti, esposti a Piacenza e Novara. Sono performance di Valenti, anch’esse caratterizzate da un effetto straniante e fuori luogo molto in linea con l’effetto teatrale proprio delle regie di Farina.