Terreni Creativi VI

Un modello di valorizzazione

Giulio Sonno | 

paper street | 

03/08/2015

Valorizzare. Dovrebbe essere la parola d’ordine in Italia. Anziché insistere nella produzione affannata di inutili e fiacche novità, recuperare piuttosto ciò che è stato già creato e ripensare la maniera di proporlo. Il capitalismo d’altronde ha ampiamente dimostrato di essere un’economia basata sullo sfruttamento cieco, che non comprende l’ambiente in cui si insedia ma mira ad esaurirlo – e certo non si sposa granché con la tanto ventilata democrazia. Qualità non quantità. Si può fare? Certamente sì, ce lo dimostrano ad Albenga il direttore artistico Maurizio Sguotti e i ragazzi di Kronoteatro, che con la sesta edizione del Festival Terreni Creativi smentiscono felicemente tanto bieco populismo e giornalismo sensazionalista compiaciuti di disfattismo. La formula è tanto semplice quanto sorprendente: abbandonare il luogo teatro e trasferirsi in uno spazio altro, consumare cioè il rito collettivo dell’arte in una dimensione inaspettata, che proprio nella sua imprevedibilità accoglie tutti, alla stessa maniera. Aziende agricole, capannoni, magazzini, serre: immersi nel verde della riviera ligure di ponente, gli spettacoli scatenano così una fruizione decisamente più libera e aperta. Ecco Licia Lanera di Fibre Paralelle dare vita all’omicidio d’amore di 2 (due) in una cella frigorifera; ColletivO CineticO giocare tra Shakespeare e Šostakovič alla ricerca di un nuovo Amleto tra bancali e carrelli; Quotidiana.com accompagnare il tramonto della cultura occidentale tra campi di zucche e pomodori; o ancora i Sacchi di Sabbia recuperare la tradizione del verseggiare toscano in ottava rima sotto un cielo di vetro.

Particolarmente interessante, inoltre, Survivre progetto in tre tappe degli italiani Menoventi e dei francesi Pardès Rimonim, sul tema della sopravvivenza e della copia. Tre brevi performance (seguite da incontri moderati dal critico teatrale Oliviero Ponte di Pino), nelle quali, attraverso l’elaborazione di una ciclicità in cui il meccanismo stesso del ciclo si fa progressivamente compromesso e distorto, si invita a riflettere sulla distanza che esiste tra originale e replica, su ciò che questa distanza comporta e può effettivamente rappresentare. Cos’è a rimanere nel tempo? Cosa sopravvive alla ripetitività se nulla può mai davvero essere uguale a sé stesso? La condizione postmoderna non è diventata forse, troppo spesso, un alibi per giustificare la nostra impasse creativa?

Il grande merito di questa tre-giorni, dunque, è proprio quello di avvicinare un pubblico estremamente eterogeneo ad alcune delle più interessanti compagnie del nuovo secolo attraverso un approccio alternativo che facilita la fruizione di una complessità concettuale-sperimentale magari non sempre immediata. E la partecipazione non solo è nutrita ma vivace, curiosa, attiva, a dimostrazione del fatto che un percorso culturale centrato e ben strutturato (che insomma ha un’idea forte a monte, e non insegue semplicemente il finanziamento) può davvero intercettare una necessità latente della società, risvegliarla e nutrirla. Senza indugiare nella consueta retorica dell’eroico vittimismo, Terreni Creativi propone, agisce, costruisce. Un festival che andrebbe preso a modello di valorizzazione del territorio e della cultura.