“Ascoltate!” di Menoventi.

Cartoline da una Roma de-formata dal turismo

Iacopo Gardelli | 

Ravennanotizie.it | 

06/12/2015

Recensione di “Ascoltate!” del gruppo faentino Menoventi, per la regia di Gianni Farina, con Consuelo Battiston, spettacolo che ha inaugurato i festeggiamenti di “Fèsta 015”, rassegna culturale curata da e production.

La prima giornata di “Fèsta 015” inizia presto, alle 8 di sera, con lo spettacolo Ascoltate! della compagnia faentina Menoventi. Ardis Hall, la bottega-laboratorio di Fanny & Alexander, è avvolta da una nebbiolina bassa, rischiarata solo dalle fredde luci industriali. L’ospitale atmosfera delle Bassette spinge gli ospiti a rifugiarsi all’interno della struttura e quando inizia lo spettacolo si tira un sospiro di sollievo.
Lo spettacolo si apre con una voce stentorea, declamatoria e ammonitrice (quella di Gigio Dadina), accompagnata da una fanfara imperiale che fa tanto Ben-Hur, a cura di Mirto Baliani, responsabile del progetto sonoro. È una dichiarazione d’intenti. Se il tono dei faentini è quello della farsa, il tema è in realtà molto serio: si tratta della salus (nella doppia accezione “salute” e “salvezza”) della Città Eterna.

Consuelo Battiston, unica attrice sulla scena, comincia a rispondere a una serie di domande incalzanti – le stesse che i faentini della compagnia, nel corso di un’inchiesta “sul campo” composta di interviste e questionari, hanno posto ai turisti stranieri in visita a Roma: “Perché sei venuto qui?” “Che cosa hai trovato?”, “Che cosa non hai trovato?”, e così via. I Menoventi hanno raccolto queste risposte e le hanno cucite assieme, creando così un testo polifonico involontariamente comico, spesso stupido in modo disarmante, seppur costellato di alcuni sprazzi poetici che fanno riaccendere la speranza nell’umanità – o almeno in questa umanità massificata, incontrollabile, confusa ed inerme che risponde al nome di “turisti”. L’effetto creato è quindi straniante e stimolante, poiché risponde a quella curiosità un po’ vanesia di sapere che cosa pensano veramente gli altri di noi. In questo caso, per metonimia, le opinioni su Roma divengono opinioni sul nostro paese in generale. E ogni critica fatta all’Urbe e ai suoi abitanti, transita immediatamente sul pubblico, facendo arrabbiare, stimolando riflessioni, strappando una risata di sincerità.

La verve della Battiston, arroccata su un palchetto rialzato che è allo stesso tempo pulpito del frate ammonitore e tribuna del retore antico, dà voce a questa congerie eterogenea di opinioni, coerenti nella loro contraddittorietà, in quando pescate dalla massa in modo del tutto casuale. Queste voci, raccolte in ordine su delle cartoline, sono lette velocemente (come richiede il loro valore intrinseco) quindi lasciate svolazzare sulla scena, come un diluvio di cavallette – il tono biblico dell’invettiva e della condanna serpeggia per tutta la durata dello spettacolo. Ed è proprio l’accostamento tra un contenuto tanto ovvio da risultare ridicolo, quelle delle opinioni dei turisti (“Dentro la Cappella Sistina c’erano troppe persone”, “La pizza non era buona”, “Roma è la città della Dolce Vita!”) e il tono pomposo e serio con il quale vengono espresse a risultare vincente dal punto di vista comico.
Irresistibile, in particolare, il contrappunto registico ad opera di Gianni Farina, che ha scelto di accostare la voce registrata di un romano ai lamenti del turista sprovveduto. Una chiosa assolutamente vera che, com’è tipico del carattere capitolino, commenta stancamente tra cinismo e ironia le disavventure degli stranieri (“Sono stato fermo ad aspettare i mezzi pubblici per tutta la vacanza!” “Esticazzi…”; “Non ho trovato un solo romano gentile!” “Poveretto…”).

Ma le reazioni suscitate dallo spettacolo non sono di semplice compatimento per questi esemplari umani curiosi. Spesso le loro opinioni colgono nel segno, e allora vengono sollevate riflessioni che c’interrogano direttamente in quanto italiani. Si possono risolvere i danni causati alle nostre città dal turismo di massa? E se è possibile, come farlo? È possibile giudicare così facilmente questo tipo turismo quando poi, allo stesso tempo, è ciò che fa sopravvivere un buon numero di romani (e veneziani, e fiorentini)? Chi è il colpevole diretto del degrado urbanistico ed estetico delle nostre città, noi o loro?
Questi dubbi, seppur non espressi a parole, vengono perfettamente rappresentati dalla “fontana” presente sulla scena, una delle trovate più interessanti dello spettacolo. Un semplice cono rovesciato che simboleggia la frustrazione bovina dell’esperienza turistica, quando la Battiston, dando le spalle al pubblico, non resiste alla tentazione di gettare una monetina al suo interno, come se si trovasse davanti alla Fontana di Trevi. Tentativo che, data la ristretta ampiezza del cono, è naturalmente destinato a fallire, come i desideri del turista. Ma alla fine dello spettacolo, ecco che i connotati di questa strana fontana cambiano. Da oggetto della frustrazione si svela per ciò che davvero rappresenta: una magica fonte di monetine sonanti, che vengono sputate fuori come getti d’acqua, sparpagliandosi sulla scena davanti agli occhi stupiti degli spettatori.
Ed è così che questa messe di cartoline-opinione, stupide, ovvie, vere o false, che prese singolarmente non durerebbero più di una scrollata di spalle, assieme formano uno specchio di noi stessi; deformante, certo, ma pur sempre specchio. Non è un caso che la Battiston, vestita come una turista qualunque, porti una maglietta con l’effige della popolarissima Bocca della Verità.

Se riuscire a sollevare dubbi e riflessioni è sempre indice di uno spettacolo ben congegnato, rispondere al posto del pubblico a queste riflessioni è spesso deleterio, perché annulla la suggestione del non-detto. È questa l’unica nota stonata di Ascoltate!, che risuona quando viene chiamato in scena il fantasma dell’intellettuale e scrittore Vittorio Giacopini, inquadrato nello schermo di un computer attraverso un video registrato.
Un po’ deus ex machina, un po’ opinionista sgarbiano, un po’ frate trappista, Giacopini – presentato incomprensibilmente e un po’ ingenuamente come “romano vero” – ci tiene a farci sapere la sua opinione su Roma, che spera prossima alla distruzione previo l’intervento dantesco del Tevere, “fiume catarroso”: una ripetizione gratuita dei più retrivi luoghi comuni che insistono sulla dicotomia Città Santa-Città Dannata. L’opinione di Giacopini, all’interno di uno spettacolo che è una cascata di opinioni, finisce per perdersi, diluita in tutte le altre parimenti legittime e forse meno parziali, e dimostra, una volta di più, che il più acuto conoscitore di noi stessi sono gli altri.

Visto il 4 dicembre ad Ardis Hall, Ravenna